mercoledì 6 luglio 2011

XX Appuntamento col Circolo Letterario di Firenze

Ultimo appuntamento col Circolo, prima della pausa estiva. Questa volta saremo ospiti del Circolo Aurora, all'angolo di Piazza Tasso (Torrino delle mura), mercoledì 13 luglio a partire dalle 19:30 (in coincidenza con l'aperitivo organizzato dal locale), nell'ambito della rassegna Pagine in piazza. Durante la serata, oltre alla presentazione in anteprima del testo "X minuti in carcere" (vedi sul testo il post precedente), verranno trattati i seguenti argomenti: il classico "Narciso e Boccadoro" di Hermann Hesse, e il rapporto tra musica e letteratura (per quest'ultimo, uno o più testi a scelta, ma anche canzoni, volumi monografici, biografie ecc.).
Vi aspettiamo per questo nuovo incontro, prima di fermarci per agosto. Vi ricordiamo, inoltre, che la partecipazione è aperta a tutti, senza alcun bisogno di tessere o iscrizioni.
Un saluto da tutti i membri del Circolo.

venerdì 1 luglio 2011

"X minuti in carcere", di Manfredi Mendolia

Di seguito un estratto dal libro "X minuti in carcere", di Manfredi Mendolia. Il testo è stato recentemente pubblicato su ilmiolibro.it. Qui potete leggere il prologo dell'opera, che sarà presentata in anteprima al prossimo appuntamento del Circolo, il 13 luglio 2011.


Prologo


«Lo sai... se vieni preso, noi non esistiamo... sarai solo. I protocolli saranno solo due in quel caso: dovrai liberarti della tessera identificativa e distruggere la sim. Non ti aspettare né contatti né contanti, consolazione o compassione, nessuno di noi è tua madre o tuo padre. Se sbagli, sei bruciato. Se sopravvivi, ci rifaremo vivi noi.»
Ammanettato al termosifone della caserma, il metabolismo di X era rallentato. Ammaliato dall'autorità di quella voce, ascoltava e memorizzava. Niente domande, niente rimpianti: i terroristi non ne avrebbero avuti, la storia l'avrebbero scritta i pochi sopravvissuti.
Dovevano diventare come loro: più forti, determinati, spietati ed imprevedibili.
«Eh eh eh, Per me è abile e arruolato, abile e arruolato...» queste furono le ultime parole che rimbombarono nella testa di X mentre lentamente perdeva conoscenza.
Nel crepuscolo, in quel dormiveglia dove la realtà comincia a sfumare in un sogno, dalla sofferenza costruiamo scenari felici, dopo una giornata serena, spesso proiettiamo incubi.
Quando X entrò nella fase REM , fece molti bei sogni quella notte.
Il mattino seguente si svegliò dal mal di schiena.
Il ritorno alla realtà fu traumatico: aveva sete, voglia di qualcosa di caldo, ed in quella cella c'era solo un asse di legno.
La realtà era un incubo.
La testa era indolenzita, non ricordava bene cosa fosse accaduto.
Dopo svariate ore, qualcuno aprì la cella. X non disse una parola, rimase in silenzio tutto il tempo quando i militari lo salutarono rendendogli i documenti; trovò a malapena la forza di abbassare il capo e rimettersi il portafogli in tasca. Era libero.
Aveva i soldi, ma non chiamò il taxi.
Si diresse verso il primo bar e fece colazione.
La luce del mattino era abbagliante e sembrava ustionare la sua pelle. Camminando sempre in zone d'ombra, teneva gli occhi quasi chiusi, come per godersi la fresca brezza mattutina di quella bella giornata primaverile.
Era un giorno di marzo del 1999.
Il cervello era in stand-by, alimentato ma senza pensieri, come se stesse dormendo, con l'unica differenza che non sognava ma, per qualche ragione, camminava in una direzione.
Passarono quaranta minuti circa, e X cominciò a riconnettersi con la realtà circostante: il bar sotto casa, una vicina al bancomat, un individuo in attesa fuori dallo spot delle telecamere di videosorveglianza, un signore col cane al guinzaglio, il suo quartiere, gli edifici ed il giardino del suo isolato riallacciarono e riattivarono tutte le funzioni vitali di X.
Era tornato a Casa.
Entrò sotto la doccia, ma riuscì a insaponarsi per breve tempo. Una valanga di emozioni stava per esplodere come un vulcano sepolto da metri e metri di ghiaccio. Si sedette, non ce la faceva a stare in piedi. Col capo chino verso il basso e le mani che sorreggevano la sua fronte, le sue lacrime si persero e si confusero tra gli zampilli nel box della doccia.
Asciugandosi si guardava allo specchio, quasi stupito di essere vivo. Cadde in una sorta di ipnosi narcisistica: fissava quel volto sofferente, un assolo, una tragedia di solitudine che nessun altro avrebbe potuto decifrare osservando la sua espressione. Nessuno come lui poteva associare i suoi ricordi, giudicare la sua coscienza guardandosi in faccia e dentro. Andò verso il computer, e nudo si sedette davanti alla tastiera. Inserì la password e prese i diritti di amministrazione; rimosse quello che c'era da rimuovere e aprì la posta. Gli ordini ai fornitori, le elaborazioni e i ritocchi che gli avevano commissionato lo aspettavano. Senza accorgersene, X stava già ritornando a lavorare. Fra le altre cose, doveva finire un lungo restauro digitale di un giovane ragazzo defunto; l'anniversario aveva una scadenza ben precisa e, vista la situazione, non erano ammessi ritardi. Quando verso le 10:00 am un suo collaboratore lo chiamò per problemi riguardanti una complessa rete wireless che avevano realizzato all'esterno, X scaricò i driver ed i protocolli necessari a far riavviare i router, si vestì e, dopo il rito del gel nei capelli, scese.
Erano più di due anni e mezzo che lavorava nella città di “P”, e non avendo molti amici a parte i colleghi di lavoro, generalmente lavorava a ritmi incredibili anche per più di dieci ore al giorno ; visti i buoni risultati ormai lo conoscevano quasi tutti nel settore.
Tre volte alla settimana, si allenava nel gruppo sportivo locale. In passato aveva fatto lotta greco-romana, qui era passato alla libera. Era uno stacco essenziale per non perdersi nel mondo dei circuiti, delle sigle e delle relazioni virtuali; una sudata, una presa opprimente alle costole o una proiezione, erano un calmante naturale.
Dopo quelle sudate, il corpo raggiungeva un vero stato di benessere naturalmente autoindotto.


Mancava poco all'estate. X e la sua compagna stavano pensando a dove andare in vacanza, entrambi ignoravano quello che il bizzarro destino aveva tenuto in serbo per loro.