venerdì 11 febbraio 2011

XV Appuntamento col CIRCOLO LETTERARIO FIRENZE


Accorrete numerosi per questo nuovo e avvincente appuntamento con il salotto letterario fiorentino!
Vi aspettiamo per trovarci tutti insieme, questo mese alle prese con il mondo della cucina, tempio del piacere dei sensi e anticamera del "piacere dei piaceri", in compagnia della sagace e talentuosa Isabel Allende.
Vi ricordiamo, come di consueto, di portare il materiale (vostri scritti o di autori) che vorrete condividere durante la seconda parte della serata.
Cosa state aspettando? Unitevi a noi.
Vi aspettiamo!

Biblioteca delle Oblate: 1° piano, sezione contemporanea via dell'Oriuolo 26, Martedì 22 febbraio dalle 21:30 alle 23:30


giovedì 10 febbraio 2011

I colori dell’alba e del tramonto

In quell’osteria ci passavano tipi strani, mangiavano, bevevano, dormivano e ripartivano l’indomani mattina. Il locale era sulla strada ma aveva anche una bella terrazza ombrosa all’aperto che dava sul retro. Due cameriere formose servivano ai tavoli. D’estate i clienti amavano accomodarsi ai tavoli al fresco dei pini. Tavoli di legno apparecchiati con fogli di carta gialla, un bicchiere e poche posate.
L’oste era un uomo particolare, il suo nome era Dino. Data la stazza, gli era difficile rimanere in equilibrio.Tendeva spesso ad inciampare e rimanere incastrato fra i tavoli. Per questo stava in cucina, a mescere il vino e poche volte andava a servire. Anche chi lo conosceva da sempre lo chiamava Cicche, per via della mania di fumare le sigarette fino a bruciarsi i diti. Nessuno, in realtà, conosceva il suo vero nome e lui non faceva niente per pubblicizzarlo. Sembrava che se ne vergognasse o che ne avesse paura. Quando dovette scegliere le cameriere, per aiutarlo nel lavoro, le scelse brave ma soprattutto belle, o meglio, di forme tondeggianti e morbide. A Cicche piaceva guardarle muoversi tra i tavoli. Egli rimaneva incantato dal movimento sinuoso delle cameriere come fosse ad osservare due torrenti di montagna che irrompono fra le rocce. Anche i tavoli erano messi a puntino, come il meccanismo perfetto di un orologio svizzero,perché le traiettorie delle cameriere diventassero tortuose. Ma l’elemento più importante era il vino. Le brocche dove era contenuto il vino venivano riempite da Cicche fino all’impossibile cosicché il viaggio dalla mescita ai tavoli diventava un gioco di equilibri difficilissimo. 
Sofia faceva molta attenzione a non rovesciare il vino e generalmente non ne rovesciava neanche una goccia.
Lella era la cameriera distratta di quelle che portano il tuo piatto di fettuccine alla nana al vicino invece che a te...e il vicino se le mangia! A volte succedeva che i clienti si ritrovassero con brocche di vino rovesciate addosso. La cameriera, mortificata, si scusava col cliente e poi andava in cucina a piangere da Cicche.
― Cicche, ho fatto un guaio, mi dispiace. Ho rovesciato del vino su un cliente. Mi dispiace tanto per quel pover uomo ma soprattutto mi dispiace per il tuo vino.
― Asciuga quelle lacrime Lella e non ci pensare.
― E...il vino?
― E’ difficile che il vino si trattenga in una brocca. Pensa al suo colore le scalature dorate e il rosso, il colore più vivo, il colore più vero. La passione è rossa, il sangue è rosso, l’emozione è rossa, le pietre preziose sono rosse, l’alba e il tramonto sono rossi e dorati. Lella non ti preoccupare nessuno può essere tanto bravo da riuscire a controllare il vino. Succede che a volte il vino si ribella e sente l’irrefrenabile voglia di inondare del suo colore e profumo ciò che lo circonda, compresi i clienti!
― Cicche tu parli del vino come di una persona!?
― No, parlo del vino come della vita. Lella vai ai tavoli e guarda come sta il nostro cliente “ avvinazzato”.
Nel frattempo Sofia aveva fatto accomodare il signore, inzuppato di vino come un biscotto nel tè, ad un altro tavolo e asciugato il pavimento. Lella si avvicina al biscotto, anzi al cliente, e con voce tremolante gli chiede se ha bisogno di cambiarsi.
― No, grazie. Ma vorrei un’altra brocca di questo vino che dal profumo mi sembra ottimo.
― Certo, provvedo subito. ―
Cicche riempie un’altra brocca, piena fino all’impossibile, e la da a Lella.
― Cicche tu riempi troppo queste brocche! Accidenti, non si riesce a procedere di passo spedito tra i tavoli.
― Il vino ama la lentezza Lella, ama essere accompagnato con delicatezza.
― E’ sì! Il problema è che io di delicatezza ne conosco poca Cicche...visti i risultati.
La brocca di vino arrivò sul tavolo del cliente sana e salva, nemmeno una goccia uscì dal contenitore e Cicche rimase a guardare Lella mentre irrompeva tra i tavoli muovendo i suoi fianchi come in una danza orientale.
Da quella brocca rovesciata erano passati alcuni mesi quando all’osteria arrivò un tale con un enorme cappello nero. Faceva freddo e i tavoli, pochi in inverno, erano sistemati vicino al caminetto. L’uomo col cappello si accomodò al tavolo più lontano dal fuoco, posò il copricapo inquietante sulla sedia accanto a lui e chiese qualcosa a Sofia. La cameriera non capì bene, forse per la confusione dei tegami che suonavano in cucina.
― Cosa mi ha chiesto signore?
― Vorrei del “dvino”.
― Vuole Dino? Cicche questo signore vuole sapere se conosci un certo Dino. 
Cicche uscì dalla cucina con un’espressione in viso cupa e alterata, tra l’arrabbiato e l’impaurito e poi domandò:
― Chi vuole sapere di Dino? ―
Il signore dal cappello nero sorrise con aria ironica.
― No, la cameriera ha capito male o forse la mia faringite ha fatto uscire dalle mie labbra parole poco chiare. Io ho solo chiesto del vino. L’unico Dino che ho conosciuto nella vita e di cui vorrei sapere qualcosa sono sicuro non voglia sapere più niente di me. E, detto tra noi caro Cicche, ne sono felice.




Racconto di Elena Marchi

Tempo di rime banali

Tempo che scorri tra l'oggi e il domani
sorrido ai tuoi occhi e ti sfioro le mani
ti sfioro le mani e mi resti vicino
tu tempo felice, tu tempo assassino
scorrevi gioioso quei giorni ai giardini
tra terra, vermetti, palloni e bambini
nei giorni di scuola viaggiavi più lento
tra un 10 più 10...lo so, lo so, lo so!..Maestra fa 100!
E' ovvio in silenzio dovevo aspettare
che tutta la classe mi mandasse a cacare
poi invece studiando ho scaldato le sedie
accanto ai compagni delle scuole medie
e tu, tempo, passavi e mi davi emozioni
guardando i suoi occhi distanti ma buoni
gli occhi di lei che per anni ho sognato
lei che purtroppo non ho mai sfiorato
ma vecchia è la storia e va bene lo stesso
perché l'ho rivista... ehhh.. .il tempo passa per tutti... adesso è un bel cesso! 
poi l'elettronica cinque anni ho studiato
mi son divertito ed a volte incazzato
solo ragazzi... oddio che fatica
in tutta la classe nemmeno una... donna...
ed ora lavoro e ho trent'anni da fare
ma come da piccolo adoro giocare
però ci sei tu che mi invecchi in silenzio
che detto così può sembrare uno strazio
ma mentre tu passi e mi annebbi il futuro
io sono tranquillo, mi vivo il presente... e ti vò nel culo!!!


Una poesia irriverente dell'attore Claudio Francardi